L’umile stalla di Betlemme, periferia della regione di Giuda, diventa il centro dell’umanità intera, in attesa che il Salvatore la liberi dal peccato
Il Natale ci riporta ogni anno alla grotta di Betlemme, la quale dapprima accoglie Maria e Giuseppe alla ricerca di un alloggio per trovare riparo dalla notte, e successivamente diviene il luogo dove il Figlio di Dio entra in questo mondo e pone la sua dimora in mezzo a noi. Quell’umile stalla, alla periferia del più piccolo capoluogo della regione di Giuda, diviene il centro dell’umanità intera, la quale attende la venuta del Salvatore per liberarci dal peccato, per rialzarsi dalle nostre cadute e per sostenerci negli avvenimenti della vita.
Gesù non nasce in un lussuoso palazzo regale, accessibile solo a potenti ed ai notabili di questo mondo. Egli nasce in una grotta, perché viene per essere incontrato, accolto e adorato da tutti. La prima casa di Gesù non è un albergo pieno di persone, perché Egli offre a tutti lo spazio ed il tempo necessario per contemplarLo e per riconoscerLo. Gesù nasce alla periferia delle periferie, affinché tutti possano recarsi da Lui senza temere di essere esclusi, senza paura di sentirsi inadeguati o senza l’angoscia di essere dimenticati.
Il Figlio di Dio nasce in un luogo semplice perché Egli vuole essere raggiunto dagli ultimi di questo mondo, rappresentati dai pastori, i quali vegliavano lungo la notte per sorvegliare il loro gregge. La luce dell’angelo avvolge di calore le loro vite dimenticate nel buio, e annunzia come luogo della nascita del Figlio di Dio una mangiatoia nella città di Betlemme, dove avrebbero trovato un bambino avvolto in fasce. Quell’annunzio viene accompagnato da una visione di un coro di angeli, che proclamano la grandezza di Dio e la discesa della vera pace in questo mondo. Essi accorrono senza indugiare un attimo e trovano esattamente quanto gli aveva rivelato l’angelo: il bambino avvolto in fasce che giaceva su una mangiatoia, insieme a Maria e Giuseppe (Lc 2, 8-19).
Questa scena rivela il mistero del Natale. Quei pastori della Giudea, allontanati dalla società troppo frettolosa di emarginare, perché poco propensa a rieducare ed a reintegrare, diventano l’inizio di una schiera di uomini che colgono la profondità del Natale. I pastori dimenticati da tutti, giudicati senza avere una possibilità di un riscatto umano, ricevono la possibilità di essere accolti dal Dio bambino, di adorarLo in silenzio e di vederLo con i loro occhi. La loro paura di mettersi al cospetto di Dio svanisce guardando la tenerezza di un bambino ed ascoltando i suoi vagiti.
Lo stupore del Natale è racchiuso in questi atteggiamenti interiori. All’esterno appare una scena ordinaria di una famiglia disagiata costretta a fare nascere il proprio figlio dentro una stalla, ma all’interno avviene un cammino di riconoscenza, di ringraziamento e di lode a Dio, che dona la sua vicinanza e il suo amore a partire dalla vita presente.
I pastori emarginati dagli uomini vengono accolti da Dio, che si rivela non come un giudice severo, non come un re potente ma con la semplicità e con la tenerezza di un bambino. Dio appare rimanendo in silenzio, perché vuole parlare al nostro cuore. Egli si mostra avvolto in fasce perché vuole sanare le nostre infermità. Egli giace in una mangiatoia perché vuole nutrire quella fame e sete di giustizia a cui anela ogni essere umano.
Maria e Giuseppe sono la testimonianza di come vivere il Natale. Il Vangelo di Luca non riporta le parole pronunziate da coloro che erano presenti presso la grotta di Betlemme ma racconta la visione e l’annunzio angelico che i pastori hanno ricevuto. Non sappiamo se, oltre a Maria e a Giuseppe, fossero presenti altre persone presso la grotta ma sappiamo con certezza dal Vangelo di Luca che tutti rimasero stupiti dall’ascolto del racconto dei pastori. Di Maria viene aggiunto un particolare della sua vita interiore: “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19).
Maria è l’immagine della Chiesa, che ha la duplice missione di annunziare il Vangelo ed ascoltare la testimonianza degli uomini. Il Natale ci ricorda che ogni incontro con Dio avviene per mezzo di un annunzio. La Chiesa ha sempre bisogno di messaggeri che annunziano l’amore di Dio e la sua infinita misericordia per ogni uomo. Il Natale ci ricorda che la Chiesa non è chiamata solo a rimanere nell’ovile, dove si trovano coloro che hanno già ricevuto la buona novella, ma di recarsi alle periferie del mondo dove tante persone soffrono per aver dimenticato la fede e la speranza cristiana o dove tanti uomini e donne non hanno mai ricevuto l’annunzio della buona notizia.
Il Natale ci insegna che, dopo l’annunzio, c’è l’ascolto silenzioso. Maria e Giuseppe non proferiscono parole ai pastori. Essi sono tutti intenti ad ascoltare come Dio Padre, per mezzo dello Spirito Santo, abbia condotto i pastori all’incontro con suo Figlio Gesù Cristo. La Chiesa non è chiamata a porre domande a coloro che si avvicinano con il desiderio di vedere Gesù. La sua vocazione è quella di ascoltare come Dio ha preparato l’incontro con suo Figlio e rimanere stupiti di come Dio agisca nella vita delle persone. La Chiesa custodisce queste esperienze nel suo cuore e le medita umilmente aggiungendo ogni volta un tassello per riconoscere il vero ritratto del volto di Dio misericordioso.
Il Natale non è solo la festa del Padre e del Figlio ma anche dello Spirito Santo, che ne è il protagonista silenzioso, nascosto e operoso. Lo Spirito Santo è l’artefice della nascita di Gesù nel grembo benedetto di Maria. Lo Spirito Santo conferma la decisione di Giuseppe a prendere in sposa Maria. Lo Spirito Santo convince Giuseppe che il bambino di Maria è un’opera proprio della terza persona della Santissima Trinità.
Il Natale è la festa della famiglia chiamata a non rimanere chiusa tra le pareti della propria casa ma ad aprire le porte della sua abitazione per ascoltare le esperienze degli altri. Il Natale è il giorno della conversione dell’ascolto, che consiste nell’ascoltare l’altro senza interromperlo continuamente, nel lasciarlo parlare anche se sappiamo quello che ci sta dicendo, nel sentire le sue ragioni anche se non le condividiamo pienamente. E soprattutto il Natale ci ricorda che l’ascolto è un gesto di autentica carità, perché presuppone sempre di conservare profondamente quello che abbiamo ricevuto, ricordandoci di come noi stessi siamo stati raggiunti, condotti ed amati da Dio. (Fonte: Osvaldo Rinaldi, 24 dicembre 2016, in www.zenit.org)
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